Recensione dell’opera di Evelyn Hecht-Galinski “L’undicesimo comandamento: Israele può tutto”
In quest’opera audace, che per me personalmente rappresenta uno dei manifesti fondamentali dell’antisionismo ebraico in Germania, l’autrice, Evelyn Hecht-Galinski, nata nel 1949 a Berlino e figlia del noto esponente dello Zentralrat der Juden Heinz Galinski, con il quale entrò in conflitto per le sue vedute antisioniste e propalestinesi che ovviamente non piacevano ai lobbisti sionisti in Germania. Come tanti ebrei audaci che osano criticare Israele l’autrice viene accusata di essere “un’ebrea che odia se stessa” e poi ovviamente anche di “relativizzare l’olocausto”.
Ma secondo Evelyn Hecht-Galinski, chi riesce a liberarsi dal lavaggio del cervello dei media e dei lobbisti e dalla manipolazione sionista dell’olocausto, è capace di cogliere la fondamentale distinzione tra antisemitismo e antisionismo e capisce anche che quello che hanno subito gli ebrei durante il nazismo non ha nulla a che vedere con gli arabi-palestinesi di oggi, espropriati, incarcerati e senza diritti da decenni.
Parlando del suo libro l’autrice afferma che esso non fa altro che descrivere la realtà. A volte però la realtà sembra più difficile da descrivere delle autoillusioni create dal lavaggio del cervello organizzato delle lobby sioniste internazionali.
È il metodo della Galinski che deve servirci da guida per riscoprire che i diritti umani sono rispettati dove vengono veramente rispettati e che vengono violati ove vengono veramente violati, e per non far alcuna eccezione quando si tratta di Israele. Dobbiamo parlare della realtà senza temere di essere accusati di essere anti-semiti o relativizzare o negare l’olocausto solo perché valutiamo nell’oggi gli aspetti nefasti del colonialismo e dell’espansionismo sionista dello Stato di Israele che nella sua attuale forma perpetuata da decenni vorrebbero farci credere di rappresentare la democrazia in Medio Oriente e di essere il posto più sicuro per tutti gli ebrei, invitati a tornare in patria. Invece la verità è quella di uno stato che si mantiene con la violenza e le razzie contro i civili, con il sostegno militare estero e con una macchina mediatica sconvolgente.
In questo contesto mi viene in mente una nota frase della grande filosofa tedesca di origine ebraica Hannah Arendt che sul rapporto tra antisemitismo e colonialismo e/o espansionismo sionista disse:
“Gli antisemiti vogliono sbarazzarsi degli ebrei, e lo Stato ebraico li vuole accogliere… una corrispondenza perfetta”.
L’autrice si oppone radicalmente all’inversione dei valori quando si tratta dello Stato di Israele, intoccabile ed incriticabile, e che come dice il titolo del libro “può tutto”. Si tratta di eliminare la maschera vendutaci per verità per far emergere la realtà da descrivere.
Oltre la descrizione della realtà ci chiediamo ovviamente quale sia l’ideale politico della Galinski che si considera una socialista tollerante, critica nei confronti della penetrazione tra sionismo e pensiero rabbinico. Al di là della pars destruens del suo pensiero, nella sua opera si delinea comunque anche una via sbiadita verso un’utopia politica per il Medio Oriente. Per lei si tratta di chiedersi come agire con giustizia nei confronti del popolo palestinese, oppresso da decenni dall’occupazione militare israeliana e trattato in Israele come un mucchio disumanizzato di cittadini di seconda classe. Desidera un paese democratico per tutti i cittadini, ebrei, musulmani e cristiani, in cui vi sia vera libertà di gestire la propria vita all’insegna di una cultura dell’eguaglianza e delle pari opportunità.
La Galinski persegue l’obiettivo di tracciare uno stato, in cui tutte le religioni e tutte le visioni politiche, tutte le culture e tutte le etnie siano eguali. Dunque aspira a una soluzione con uno solo stato per tutti, senza il predominio sionista ed ebraico. Non vorrebbe uno stato in cui l’elemento etnico e religioso ebraico domini sugli altri. Ovviamente una visione del genere non è compatibile con l’attuale governo Likud e con il suo premier Netanyahu che la Galinski chiama un errore storico. Infatti Israele è un “regime” che grazie alla propaganda delle lobby, che avvolgono il mondo occidentale e soprattutto gli Stati Uniti in una grande ragnatela di menzogne, rimane impunito. Dovremmo aprire gli occhi e smettere di prendere per buono il fatto che Israele si autodichiari l’unica democrazia del Medio Oriente. Per l’autrice è una totale assurdità affermare che Israele sia una democrazia solo perché si auto-dichiara tale. Infatti quest’unica democrazia del Medio Oriente non si distingue affatto da una dittatura, basata sul potere militare colonialista, esercitato contro i palestinesi.
Uno degli aspetti peculiari della propaganda israeliana, che riesce a farci credere in una menzogna fondamentale come se si trattasse della verità, consiste senza dubbio nel ruolo di vittima. Israele si auto-rappresenta e si “acconcia” come uno stato di 6 milioni di vittime, come lo chiama il Prof. Yakov Rabkin, circondato da nemici che gli vogliono male e che per questo vanno preventivamente combattuti. Utilizzando la maschera dell’olocausto e manipolando una verità storica fondamentale come quella dello sterminio degli ebrei durante il nazismo, lo stato ebraico mira all’eliminazione di tutti gli elementi etnici non ebrei, ovvero principalmente arabo-palestinesi, uno scopo colonialistico ed espansionistico che cerca di raggiungere con la politica dell’importazione di ebrei-coloni in “patria”.
Un altro concetto fondamentale che la Galinski conia nel suo discorso antisionista riguarda il termine dell’“ira divina”, la parola in codice per gli omicidi commessi dai servizi segreti israeliani all’indomani dell’attentato olimpico del 1972.
I cosiddetti concetti sionisti vengono inculcati nei cervelli degli ebrei comuni della diaspora, degli israeliani che li imparano fin dalla scuola materna e anche degli occidentali, soprattutto ai tedeschi che si sentono colpevoli di aver sterminato gli ebrei durante il nazismo. In un’intervista Galinski parla persino di un’educazione tedesca alla colpa per evitare che i tedeschi si oppongano alla violenza israeliana contro il popolo palestinese.
Per Evelyn Hecht-Galinski resta una cosa fondamentale da fare per fermare il regime israeliano: e cioè boicottarlo per arrestare la spirale di violenza del conflitto israelo-palestinese. Per favore questo si deve creare un clima all’insegna del diritto alla critica nei confronti di Israele. I tedeschi hanno il diritto di critica Israele, non devono tacere, quando Israele commette un genocidio nei confronti dei palestinesi. L’Olocausto non riguarda i palestinesi che invece ne pagano ingiustamente il prezzo. La Galinski, quando si ricorda del passato nazista, si ricorda di suo padre che ha sopravvissuto Auschwitz. Il fatto che gli ebrei abbiano sopravvissuto Auschwitz e ora si trovino in Israele, non permette loro di commettere ingiustizie e genocidi contro altri popoli e/o di guardare e tacere mentre altri li commettono. Per me si tratta di un messaggio fondamentale che assomiglia molto a quanto dice il grande poeta antisionista tedesco Erich Fried nella sua memorabile poesia “Höre Israel” (Ascolta Israele).
Dobbiamo lavorare per creare un mondo umano, vivibile per tutti e giusto nei confronti di tutti. La prefazione dell’opera di Evelyn Hecht-Galinski è stata scritta dallo storico israeliano Ilan Pappe e l’epilogo dal noto jazzista Gilad Atzmon che chiama l’autrice un’umanista. Concordo in questo. Infatti se dovessi scegliere un solo termine per definire Evelyn Hecht-Galinski la chiamerei umanista anch’io, in quanto lo trovo un termine positivo che supera la critica di Israele e il boicottaggio, elevando il problema palestinese ad una dimensione universale, ovvero umanistica universale. Quello che succede in Palestina, va discusso, va mostrato e va denunciato. Il rifiuto di criticare Israele ci rende complici delle follie colonialiste e del militarismo organizzato.
Il fatto che Israele si autodefinisca uno stato ebraico lo rende intoccabile grazie al suo passato nazista. Ma sono gli ebrei a mostrarci come questa definizione sia del tutto errata. Chi butta bombe contro la popolazione civile inerme di Gaza, non può definirsi un ebreo in senso morale ed etico. Superare l’etnocentrismo e il sionismo è un compito difficile che molti ebrei si stanno assumendo. Solo in questo modo riusciremo a costruire un Medio Oriente all’insegna della pace, senza militarismo folle e senza sciovinismo. Dunque ci vuole una forte resistenza contro personaggi politici come Netanyahu e Lieberman per denunciare il loro fascismo e il loro colonialismo aggressivo. E per questo, tornando al punto di partenza del libro dell’autrice, si tratta di aprire gli occhi per vedere questa cruda realtà secondo la quale il regime israeliano sionista può tutto perché nessuno sembra vedere il male che commette.
Source: www.gilad.co.uk
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Dr. Phil. Milena Rampoldi
Redazione di ProMosaik e.V.
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